Qual è il cliente tipo che entra nella tua agenzia?

Nell’attività che riguarda i viaggi ho una clientela prevalentemente islandese. Nell’organizzazione di eventi invece mi relaziono sia con italiani sia con tedeschi.

Che tipo è il turista islandese?

Interessante! È il tipo che quando viene qui pensa: “ora scappo da quell’isola e vado in un paese più caldo!”. Si rilassa, si lascia andare ogni tanto. Ama venire qua e uscire per un cocktail. Vivendo qui in Alto Adige poi, conosco il territorio e posso mandarlo direttamente nei posti più caratteristici, facendogli vivere un po’ della mia quotidianità. Non amo mostrargli le mete più gettonate, preferisco portarlo nei luoghi più intimi, tra sentieri, mostre e locali.

Jona Fanney Svavarsdottir durante la chiacchierata con Valentina Gentili

Il turista islandese è il tipo che quando viene qui pensa: “ora scappo da quell’isola e vado in un paese più caldo!”.

Jona Fanney Svavarsdottir

Quale tra le attività altoatesine trovi più interessante?

Amo le specialità di quello che avete da offrire. Per questo accompagno amici e clienti fino al contadino che offre i migliori knödel dei dintorni. Amo il cibo di questa terra, è semplice, genuino ed equilibrato. Sono le caratteristiche di questa terra ed è proprio questo che voglio trasmettere agli altri.

Cosa trovi che sia fondamentale per la buona riuscita del tuo lavoro?

Secondo la mia esperienza, conoscere le lingue rappresenta un grande punto di forza perché ti permettere di relazionarti più facilmente con tante persone diverse. Penso che sia molto importante cercare di integrarsi in una comunità attraverso la lingua, cercando di non essere timidi e fare un piccolo sforzo ogni giorno, senza concentrarsi subito sul congiuntivo o sulla grammatica e aiutandosi a vicenda. Per me parlare una lingua ha a che fare soprattutto con me stessa, non solo con chi parlo, perché così mi sento più vicina al Paese, alle persone e a quello che sto facendo: parte tutto da me.

Raccontaci della tua esperienza come cantante.

Vengo da una famiglia di molti cantanti. Ma essere musicista o artista non è visto proprio come un lavoro. In Islanda siamo in pochi, in tutta l’isola ci sono 370.000 persone, è un mercato piccolo perciò come artista si ha sempre un secondo lavoro. Ho iniziato a studiare canto lì, ma sto continuando qui. Quando ho voluto crescere come artista sono venuta qua in Italia dove c’era mio zio Kristján Jóhannsson, che ha avuto una carriera importante nella musica lirica, ha cantato 85 volte all’arena di Verona, ma anche al San Carlo e alla Scala. Così io e mio marito abbiamo deciso di venire qua nel 2008 e studiare con lui, poi lui è tornato in Islanda a vivere ormai anziano e noi siamo entrati al Conservatorio.

Jona Fanney Svavarsdottir fotografata da Valentina Gentili

Amo il cibo di questa terra, è semplice, genuino ed equilibrato. Sono queste le caratteristiche che voglio trasmettere agli altri.

Jona Fanney Svavarsdottir

Cosa pensi ci sia di speciale in questa passione che vi accomuna?

La musica ti dà quel qualcosa in più, può anche ammazzarti. Per chi lavora in questo settore rappresenta sia l’angelo che il diavolo, perché in qualche modo non riesci a smettere, ti senti cercato, è come un richiamo. Fare musica ti dà una certa serenità, è un bellissimo modo di comunicare con le persone. Quando faccio un concerto è come se il pubblico diventasse lo strumento dei miei sentimenti. Quando organizzo un concerto o coro di musica islandese e presento la serata, spiego cosa stanno ascoltando, cosa significa e da dove deriva. Diventa un pretesto per poter iniziare un discorso. Ritengo sia fondamentale che il pubblico capisca il significato di ciò che sta ascoltando.

Un consiglio che daresti alla te stessa di dieci anni fa e alla te stessa tra dieci anni?

Essere più decisa sulle cose che voglio fare, imparare a esserlo. La Jona di oggi ha imparato a farlo. Tra dieci anni mi auguro di essere ancora più decisa e non far passare altri vent’anni facendo fatica a prendere decisioni.

Un’ultima domanda, la tua parola preferita in islandese e in italiano e perché?

Ti faccio una top three: in islandese lyòs che significa luce. Perché non dire anche luce? Per illuminare tutto. Poi in Islanda abbiamo soul che è sole, una parola quasi uguale all’italiano. Ce ne sono pochissime.

Per me parlare una lingua ha a che fare soprattutto con me stessa, perché così mi sento più vicina al Paese, alle persone e a quello che sto facendo: parte tutto da me.

Condividi

Valentina Gentili

Approfondisci il profilo:
Intervista di
Valentina Gentili
Fotografie di
Valentina Gentili
Biografia
Valentina Gentili è una fotografa e designer emergente. Diplomata in Grafica al Liceo Artistico Pascoli di Bolzano, oggi frequenta il corso di Design e Arti presso la Libera Università di Bolzano. Collabora con PianoB - Social Design e con il Gruppo Volontarius dove si occupa di fotografia in ambito sociale. Parallelamente lavora come barista. Valentina partecipa a questo progetto con la forte volontà di scoprire e raccontare nuove storie di vita. Questo progetto è per lei un’occasione per unire la sua passione per la fotografia con le capacità acquisite grazie al lavoro nei locali e nei pub.
Due chiacchiere al bar
Il progetto di Valentina si sviluppa partendo da due quesiti: “Come posso interagire con una persona che non conosco? Quale può essere un punto di incontro tra me e questa persona?” Negli ultimi anni Valentina ha sviluppato la passione per la fotografia a pari passo con il suo lavoro da barista. Questo progetto è stato per lei un’opportunità per riscoprire questo suo lavoro e valorizzarlo in chiave creativa. Quello della barista è un impiego che mette in costante contatto con la persona che sta dall’altra parte del bancone, e che dà l’occasione di scoprire e osservare le peculiarità che distinguono le persone. Questo mestiere le ha dato inoltre la possibilità di sviluppare le proprie capacità e competenze di dialogo ed interazione. Valentina ha scelto così di accogliere gli intervistati del progetto “Un’impronta del mondo in Alto Adige” offrendo loro un cocktail di sua invenzione. Ogni persona ha potuto scegliere uno specifico cocktail, il quale corrispondeva ad un “profilo caratteriale”. Da qui la possibilità di aprire un dialogo attraverso quella che può assomigliare ad una chiacchierata informale tra cliente e barista.
Dello stesso progetto, vedi anche: