Mi chiamo Radwa, vengo dalla Libia, sono nata e cresciuta a Tripoli con i miei genitori e le mie tre sorelle. Vivo a Bolzano dal 2014, qui ho scelto di lavorare in un settore, in un ambiente comunque legato a tutta la mia storia. Non sono sicuramente andata lontano per dimenticare tutto ciò che è successo, anzi…

Lavoro come operatrice sociale con le persone che stanno scappando, che sono profughi come me. Quello che ho visto, che ho vissuto mi ha dato tanta forza, mi ha dato l’esperienza per poter utilizzare la mia di storia per aiutare gli altri. Io capisco cosa hanno sofferto, capisco chi mi trovo davanti così posso aiutarlo meglio. Non conoscevo assolutamente l’Alto Adige prima di arrivare… non era programmato, sono stata trovata dall’Alto Adige diciamo. Ho trovato persone meravigliose, mi hanno fatto sentire accolta, integrata. Così io provo a restituire qualcosa tramite il mio lavoro, con le mediazioni. Provo a fare mediazione interculturale in modo che le persone si capiscano a vicenda, che capiscano le culture dell’uno e dell’altro per evitare una separazione.

C’è scritto “coraggio”: l’ho presa e fatta mia questa parola. Oggi l’ho portata perché credo me ne serva molto, di coraggio, per raccontare la mia storia.

Una specie di passaporto. Un documento che dice che posso viaggiare in tutta Europa senza problemi. Non è stato facile ottenerlo. Ho dovuto spiegare tutta la mia vita a persone che non avevo mai visto prima. Per cinque ore. Mia mamma è in Francia, e con questo titolo di viaggio posso andarla a trovare normalmente.

L’ho rubato a mia nipote quand’era piccola. Anche lei vive in Francia. Lo tengo ancora con me perché mi dà la speranza che lei viva una vita migliore della mia, e notti senza le esplosioni delle bombe e gli spari dei kalashnikov, e paesi che non crollano portando con sé tutto quello che hai.

Il Corano viaggia sempre con noi. Questo è piccolo, me l’ha regalato un’amica quando ho comprato la macchina, così ce lo potevo lasciare e mi avrebbe protetta, ed è rimasto con me anche in questo viaggio.

Questa fascia serve per riconoscerci tra di noi della Volontarius e aiutare le persone a identificarci. È una delle prime cose che ho avuto qui in Italia, a parte i documenti e il permesso di soggiorno e il titolo di viaggio. La usavo per il SAU, il Servizio di Assistenza Umanitaria. Ho scritto tutto anche in arabo, perché fosse più facile per chi arrivava capire chi fossi e cosa ci facessi lì.

Per mia madre sono ancora una bambina. Dopo il mese del Ramadan, mi comprava un giocattolo. E continua a farlo. Anche quest’anno: sono andata in Francia a trovarla, ed ecco un giocattolo.

Per fare richiesta di protezione internazionale ho dovuto scrivere la mia storia nella mia lingua madre. Questo taccuino viene dalla Libia. Non ricordo dove l’ho preso, forse era di mio padre. Siccome è arabo, si aprirebbe da destra a sinistra. Ma io sono un po’ disordinata, scrivo ovunque, in italiano, arabo, inglese, quindi lo apro da tutte e due le parti.

Quando sono partita dalla Libia non ho portato molte cose con me. Tutto quello che avevo stava in un sacchetto di plastica. C’erano anche queste foto. Quest’album l’ho fatto qui, avevo paura che si rovinassero. C’è anche una foto di mio padre, in due copie perché una mia amica me la stampò senza sapere che ce l’avessi già. Mi manca molto, mio padre. È morto per via della guerra, e da allora né io né le mie sorelle abbiamo più voluto tornare in Libia. Troppo dolore.

Era di mio padre, la usa per leggere. Amava leggere. Quando sono scappata l’ho portata con me. A parte le foto è l’unica cosa che ho di lui.

Samira Mosca

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Bio
Samira Mosca, born in Bolzano in 1995, works in the field of visual communication with photography, video and graphic design. In 2017, she graduated with a bachelor's degree in Photography from the LABA Free Academy of Fine Arts in Brescia. During her Erasmus exchange semester in Lithuania, she developed a particular interest in contemporary multimedia art -- a topic that she is currently pursuing with her studies in the field of curatorship. For Samira, photography and art are a means of speaking without words, of exploring and delving into new worlds, the very thing she thrives on and that in her opinion deserves our attention. Art is a sign of our identity, our experiences and our surroundings; it is precisely for this reason that Samira is taking part in the project 'An imprint of the world in South Tyrol', a project that has allowed her to come into contact and deepen her knowledge with, also in emotional ways, people who we often only perceive as distant statistics. Samira believes that the richness of this project is precisely that of entering into the lives of people with a migratory background, and thus getting to know them better not only in their working lives but also in their daily and personal spheres.
Lives between your hands
Samira Mosca's photographic project aims to dive into different realities of success and integration through a personal approach of interaction and understanding of each individual and his or her background. As the bearer of a great wealth of experience that shapes and determines their actions, each of the interviewees was asked a series of questions to which they responded by choosing an object. Each object is linked to a memory, a thought, a story; a photograph was taken of each object to form a mosaic, an emotional compendium that describes the person's past, present and future. A spontaneous and, it could be said, a sensory narration that attempts to capture fragments of a complex human being, reaching beyond achievements or appearances. The project thus becomes a narration of a group of individuals that the reader can get to know not so much through facts, results and hard numbers, but rather through a resurfacing of situations, feelings and connection with the world and themselves.
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