Sono in Italia da quattordici anni e da quando ho lasciato l’India la mia vita è cambiata radicalmente. Ad esempio non avrei mai pensato che sarebbe stato così utile sapere la mia madrelingua. Infatti ogni giorno, proprio grazie a questa lingua, posso aiutare tantissime donne, famiglie, bambini a scuola, riesco a farli sentire accolti in qualche modo… vedono che c’è qualcuno come loro, che si prende cura di loro, che non sono soli…

Bolzano mi ha dato la possibilità di istruirmi, la conoscenza, una crescita sia personale che professionale… ecco in qualche modo metto queste conoscenze nel lavoro che svolgo come operatrice sociale, così ho modo di restituire ciò che mi è stato dato.

È la mamma che ti insegna a indossare il Saari, questo tessuto tipico dell’India, decorato, lungo anche più di 5 metri, senza cuciture, solo stoffa che va avvolta intorno al corpo e piegata e incastrata per creare forme particolari. Ho usato proprio questo qui, l’altro giorno, in occasione della manifestazione per i diritti delle donne. Per anni non l’ho indossato. Volevo affacciarmi alla cultura italiana, lasciarmi alle spalle il passato. Ma poi ce l’ho fatta: ho studiato, ho imparato l’italiano, il tedesco, e quando ho capito che non dovevo più dimostrare niente a nessuno, quando mi sono sentita a casa, ho deciso che potevo tornare a metterlo. Così, il giorno in cui mi sono laureata, l’ho fatto indossando il Saari.

Quando lavori nei Servizi sociali devi ricordati un sacco di cose. Appuntamenti, impegni, piccoli appunti utili. Io sono laureata in questo, lavoro nel Centro antiviolenza e come educatrice sociale per l’Associazione La Strada – Der Weg. Lavoriamo sempre in rete, e segno tutto qui.

Cosa mi fa pensare al viaggio? Mi viene in mente una cosa che ho lasciato per sempre dietro di me quando ho preso quel volo: il modo in cui mi vestivo. In India, mi vestivo come un ragazzo. Quando sono arrivata in Italia le cose sono cambiate, mi sono anche fatta crescere i capelli. E così, eccomi qui: in questa fototessera del passaporto ho circa 20 anni. La discriminazione quotidiana che vedevo contro le donne rendeva difficile, per me, accettare di esserlo. Mi dicevo: se ti vesti come un uomo le cose saranno più facili. L’Italia mi ha dato la possibilità di essere quello che sono. Di essere come sono stata creata. Mi sono sentita protetta, libera dalla necessità di nascondermi. Non mi sono più dovuta sentire in colpa per il fatto di essere donna.

Nella mia infanzia non ci sono stati oggetti fondamentali. Quando voglio tornarci, perciò, lo faccio attraverso le fotografie.

È difficile scegliere qualcosa che ricordi il proprio paese. Cosa non manca mai? Beh… le spezie! Io ho un’identità mista: mangio italiano, indiano, sudtirolese; ma quei sapori e quei profumi non li dimenticherò mai. Se non mangio cibo indiano per un po’, ne sento la mancanza. È ciò con cui sei cresciuta. E quindi ecco della curcuma, anche se in Italia non è che si trovino proprio le spezie vere. Per averle, le porti dall’India quando ci torni.

Con la bici posso arrivare ovunque. Non esco mai senza: non importa dove sono diretta e quanto sia lontano. È comoda, veloce ed ecologica, no? Anche in India abitavo vicino al confine, anche lì andavo sempre in giro in bici, e questo amore l’ho portato con me. Potevo girare in bici perché mi vestivo da maschio. Per le donne è un problema: o non ci vanno perché sarebbero le sole a farlo, o non imparano affatto.  

Samira Mosca

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Bio
Samira Mosca, born in Bolzano in 1995, works in the field of visual communication with photography, video and graphic design. In 2017, she graduated with a bachelor's degree in Photography from the LABA Free Academy of Fine Arts in Brescia. During her Erasmus exchange semester in Lithuania, she developed a particular interest in contemporary multimedia art -- a topic that she is currently pursuing with her studies in the field of curatorship. For Samira, photography and art are a means of speaking without words, of exploring and delving into new worlds, the very thing she thrives on and that in her opinion deserves our attention. Art is a sign of our identity, our experiences and our surroundings; it is precisely for this reason that Samira is taking part in the project 'An imprint of the world in South Tyrol', a project that has allowed her to come into contact and deepen her knowledge with, also in emotional ways, people who we often only perceive as distant statistics. Samira believes that the richness of this project is precisely that of entering into the lives of people with a migratory background, and thus getting to know them better not only in their working lives but also in their daily and personal spheres.
Lives between your hands
Samira Mosca's photographic project aims to dive into different realities of success and integration through a personal approach of interaction and understanding of each individual and his or her background. As the bearer of a great wealth of experience that shapes and determines their actions, each of the interviewees was asked a series of questions to which they responded by choosing an object. Each object is linked to a memory, a thought, a story; a photograph was taken of each object to form a mosaic, an emotional compendium that describes the person's past, present and future. A spontaneous and, it could be said, a sensory narration that attempts to capture fragments of a complex human being, reaching beyond achievements or appearances. The project thus becomes a narration of a group of individuals that the reader can get to know not so much through facts, results and hard numbers, but rather through a resurfacing of situations, feelings and connection with the world and themselves.
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