Mi chiamo Setareh Haidari sono di Teheran ho 30 anni e vivo in Italia dal 2016. Sono musicista, babysitter e aspirante videomaker e addetta al montaggio.

Vi lascio due frasi scritte da mio zio che mi ricordano molto casa. Nella prima c’è scritto una cosa che può essere tradotta come: “Il canto piacevole della tua voce è come amore” e la seconda è la frase di una poesia “Nel mio orecchio sempre sento che stai arrivando/tornando da me” e per me è molto legato alla mia famiglia, li sento vicini… mi mancano. Una cosa particolare è che noi scriviamo da destra a sinistra, leggiamo da destra a sinistra, apriamo i libri al contrario, ma la musica ha una scrittura internazionale che va da sinistra a destra, è un linguaggio universale.

Da sempre, le mani del mio paese producono oggetti. Questo astuccio è le mani del mio paese. Lo porto con me e posso stringerle e non lasciarlo andare.

Frutta secca, caramelle, un pezzo di cioccolato. Il profumo di mia madre, la ciotola sul tavolo, forse arriva qualcuno. C’è sempre la possibilità di un ospite, c’è sempre bisogno di qualcosa di dolce. Anche ora, lontana, sono pronta ad accoglierlo.

Anche se dovrebbe stare in cucina, la tengo qui. Le ho dato un’altra vita, perché mi ricorda un pezzo della mia. Mi ricorda mia madre. Erano casa le sue dita mentre la facevano, ed è casa questa presina, ancora.

Un’altalena nel cuore di Teheran. Mio padre mi spinge e volo verso il cielo, se allungo una mano rubo il mio nome dalla notte. La bambina allunga il suo regalo, ha il senso del mio nome, dice. Tra poco non ci saranno più i bambini, ci separerà la scuola, fino all’università; non ci saranno più la metro, il traffico, i giochi. Rimarrà questa piccola stella di stoffa nera a dirmi la mia infanzia.

Costa più dell’oro, sai? Ma anche per quei soldi, non te lo darei mica. Chiudi gli occhi, avvicinati, lo senti anche se tengo la busta chiusa, vero? Cos’altro ha un profumo così, un colore così?

Un bicchierino d’acqua, uno specchietto e il Corano. Il Corano sul vassoio non c’è ma fai finta di sì. Avanti, indietro, avanti, indietro, avanti, indietro. Per tre volte, passandoci sotto. E l’ultima, devi ritrovarti rivolto alla porta. Devi fare così quando vuoi partire per un viaggio, in Iran, per essere protetto, per conoscere la giusta strada. Adesso vai, noi ti tireremo dietro l’acqua. Che tu possa tornare prima che si asciughi. Buon viaggio.

La musica mi ha portata in Italia, e l’oboe a Bolzano. È come se avessi seguito il suo suono e la sua promessa.

Ma anche la musica può fermarsi. Il silenzio mi è sempre servito a cercarla di nuovo, a capire che il silenzio non è il mio posto. L’ultima volta che si è fermata, ho abbracciato le immagini, la forza di metterne una vicino all’altra. Il silenzio può suggerirti strade che non avevi mai percorso.

La prima volta che ho fatto la babysitter è stato grazie a una donna di Milano. Era iraniana come me, aveva lasciato un bel ricordo, e così eccomi qua. Qualcuno, davanti alla distanza, si ferma; qualcuno tenta qualche passo. I passi degli altri incoraggiano i nostri. A chi mi chiede dei miei, li racconto. Magari scopriamo qualche tessera comune e ci riconosciamo.

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Samira Mosca

À propos de l'artiste:
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Biographie
Samira Mosca est née à Bolzano en 1995, et travaille dans le domaine de la communication visuelle avec la photographie, les vidéos et le graphique. Elle obtient son diplôme en photographie en 2017, à la Libre Académie des Beaux-Arts à Brescia, et pendant son Erasmus en Lituanie elle développe un intérêt particulier pour l’art contemporain multimédia qu’elle poursuit encore dans le domaine de la curatelle. Selon Samira la photographie et l’art sont un moyen de parler sans mots, d’explorer et d’approfondir des nouveaux mondes, ce qui vit et qui mérite de l’attention. L’art est un signe de notre identité, de nos expériences et de ce qui nous entoure. C’est justement pour cette raison qu’elle participe à « Une empreinte du monde au Tyrol du Sud », un projet qui lui donne la possibilité d’entrer en contact et d’approfondir la connaissance, même au niveau émotif, avec ces personnes que l’on voit souvent comme distants et seulement au sein de statistiques. Samira pense que la richesse de ce projet est justement celle d’entrer dans la vie des personnes issues d’un contexte migratoire, et ce faisant de les connaître mieux dans leur dimension du travail mais aussi dans leur dimension quotidienne et personnelle.
Des vies entre les mains
Avec ses photographies, Samira Mosca veut s'immerger dans différentes réalités de réussite professionnelle et d'intégration, par une approche personnelle d'échange et de connaissance de la personne et de son histoire. En tant que porteur d’expériences, qui le constituent et en déterminent son action, à chaque interviewé ont été posées une série de questions auxquelles ils ont répondu en choisissant des objets. À chaque objet est lié un souvenir, une pensée, une histoire, et de chaque objet a été prise une photo qui va construire une mosaïque, un trousseau émotif qui vise à décrire la personne dans son passé, présent et futur. Une narration spontanée, que l’on pourrait définir comme sensorielle, qui essaie de saisir les fragments d’un être humain complexe en allant au-delà des simples résultats ou des apparences. Le projet devient ainsi une narration d’un groupe d’individus que le lecteur pourra connaitre non seulement à travers les faits, résultats et froids numéros, mais surtout à travers une réémergence de situations, sensations et contact avec le monde et soi-même.
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