Ciao sono Alejandrina e vengo da Cuba.

Lavoro come cameriera ai piani in un Hotel ma da quando sono arrivata a Bolzano nel 2000 ho lavorato anche in una cooperativa che si occupa di ragazzi non autonomi con gravi deficit. Con loro ho fatto un percorso bellissimo, sono così indifesi e quando mi trovavo davanti a loro riuscivo a capirli. Non parlano ma è sufficiente guardare i loro occhi, le loro espressioni per capire di cosa hanno bisogno. Un domani il mio obiettivo è quello di tenere un piccolo gruppo di questi ragazzi disabili con problemi psicomotori. Mi piacciono perché mi sembrano più reali, più autentici, più dolci loro che noi.

La bambola passa di generazione in generazione: una tradizione di famiglia, e da mia nonna è arrivata a me. Mi protegge e io ci credo. Siamo una famiglia cattolica con influenze afrocubane. Devi sapere che un tempo, intendo prima di Cristoforo Colombo, eravamo inca. Si sono mescolate tante religioni diverse, poi. Mi chiedono se si tratta di stregoneria. No, niente di tutto ciò: religione cattolica e credenze più antiche. È grazie a questa bambola che ho imparato a fare la cartomante.

Una foto del nonno vicino a quella di Che Guevara. Credo abbia fatto tanto, per noi. Voleva l’uguaglianza dei popoli, la democrazia. Sogni che l’hanno reso un simbolo della nostra identità nazionale. 

La mia famiglia è il mio viaggio. Quello che al momento non posso fare. Sono quasi tutti a Cuba, ma non posso permettermi di andarli a trovare, per ora. Spero di poterlo fare presto. Intanto, tengo qui questa foto di mia mamma e quelle di tutta la mia famiglia. Ho sette fratelli, io. E questa foto dell’Avana vecchia.

Mangiare è meraviglioso, e perciò lo è anche cucinare. Regalare un momento di felicità a qualcun altro con qualcosa di semplice. Il mio sogno è avere un posto mio per farlo, per preparare qualcosa come questo pollo alla birra. La ricetta? Lasciarlo macerare un giorno con rosmarino e cumino, cipolla, aglio, sale e limone; poi lo si cuoce con un po’ di birra a fuoco lento, anche per tre ore. Rimane morbidissimo.

Ecco le maracas cubane che suonano la nostra musica. Sono originarie proprio del mio paese. Ne ho una sola perché l’altra l’ho regalata a una mia amica. Chissà dove suona, oggi.

Sembra una lattina. È fatta di legno, ed è tutta lavorata. Si tratta di una nostra caraffa tradizionale: serve a prendere la birra.

Lavoro ai piani e ho lavorato in Val Gardena. Sistemo le cose degli ospiti, tra cui gli asciugamani. E quindi eccoli qui.

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Samira Mosca

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Samira Mosca
Biografia
Samira Mosca, nasce a Bolzano nel 1995, lavora nel campo della comunicazione visiva con fotografia, video e grafica. Si laurea in fotografia nel 2017 alla LABA di Brescia e durante l’Erasmus in Lituania sviluppa un particolare interesse per l'arte contemporanea multimediale che porta avanti tuttora anche nel campo della curatela. Per Samira la fotografia e l'arte sono un modo di parlare senza parole, di esplorare e approfondire mondi nuovi, ciò che vive e che per lei merita attenzione. L’arte è un segno della nostra identità, delle nostre esperienze e di ciò che ci circonda. Proprio per questo motivo Samira partecipa a “Un’impronta del mondo in Alto Adige”, un progetto che le dà la possibilità di entrare in contatto e approfondire la conoscenza, anche a livello emotivo, con quelle persone che spesso vediamo solo all’interno di statistiche e distanti. Samira ritiene che la ricchezza di questo progetto sia proprio quella di entrare nella vita delle persone con background migratorio e così facendo conoscerle meglio nella loro dimensione lavorativa ma anche quotidiana e personale.
Vite tra le mani
Con le sue fotografie Samira Mosca vuole immergersi in diverse realtà di successo lavorativo ed integrazione tramite un approccio personale di scambio e conoscenza della persona e della sua storia. Come portatore di un grande bagaglio di esperienze che lo costituisce e ne determina l’agire, ad ognuno degli intervistati sono state poste una serie di domande alle quali hanno risposto scegliendo degli oggetti. Ad ogni oggetto è legato un ricordo, un pensiero, una storia e ad ogni oggetto è stata scattata una fotografia che va a costituire un mosaico, un corredo emozionale volto a descrivere la persona nel suo passato, presente e futuro. Una narrazione spontanea e si potrebbe dire sensoriale che tenta di cogliere frammenti di un essere umano complesso andando oltre i meri risultati o le apparenze. Il progetto diventa così una narrazione di un gruppo di individui che il lettore potrà conoscere non tanto tramite fatti, risultati e freddi numeri ma attraverso un riemergere di situazioni, sensazioni e contatto con il mondo e se stessi.
Dello stesso progetto, vedi anche: